Campania Afro Latin Congress 2/3/4 Dicembre ● 2016 Hotel Plaza **** – Caserta

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Campania Afro Latin Congress
2/3/4 Dicembre ● 2016
Hotel Plaza **** – Caserta
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Salsa ● Bachata ● Afro ● Rumba ●
Reggaeton ● Timba ● Chachacha ● Son ● Kizomba 

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Più di 60 ore di stage
Ospiti nazionali e internazionali
Dance Show
Sala Salsa e sala Kizomba
2 serate danzanti
Animazione Latina
🌟🌟🌟 work in progress 🌟🌟🌟
Staff artistico in continuo aggiornamento
1) Settimo Jimenez 2 ) Cuban Flex
3 ) Rodrigo Cortazar & Carla Voconi
4 ) Yuniel Gual Sondeakokan Ballet
5 ) Jonatha Casarin  & Buşra Aracı
6 ) Lieb’J
7 ) Barbara Jimenez
8 ) Marco Espejo Nuñez & Marzia Licciardello
9 ) Di Marzo Brothers
10 ) Versus
11 ) Hande & Ersin
12 ) Graziano Boggiani & Daniela Trucco

13) Sergio Y Yocelin
14 ) Davide Gatto & Anna Di Lorenzo 
15 ) Antonio y Estefan
16 ) Alessandra Mancino & Francesco Genesio 
Tante sorprese e novità caratterizzeranno questa 3a edizione ➡➡➡➡
Info 340 5588064Nicola Gelsomino
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TRADIZIONI AFROISPANICHE: INFLUENZE EUROPEE A SVILUPPO MONDIALE

TRADIZIONI AFROISPANICHE: INFLUENZE EUROPEE A SVILUPPO MONDIALE

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Verso la fine del XVIII secolo a Cuba approdarono le navi statunitensi ed europee, evento che segnò la nascita di confluenze culturali e musicali: da un lato la classe borghese portatrice di un concetto di “danza” e “contradanza” tecnicamente sofisticato e dall’altro un meno aristocratico stile afro-ispanico-cubano.
Sull’isola la danza trovò sfogo in numerose sale da ballo tassativamente vietate al popolo cubano il quale decise di crearne delle nuove, luoghi in cui nacque il “danzon“, un ballo costituito da una serie di passi e movimenti amalgamati in chiave satirica, l’esatta parodia delle danze proprie delle classi borghesi.
Il danzon prevedeva un ritmo lento ed era eseguito secondo gli schemi di una base unica: dama e cavaliere passeggiavano l’uno sotto il braccio dell’altro salutando pseudo-elegantemente le coppie presenti in sala investendo uno spazio di ballo delimitato da un quadrato immaginario.
Tra gli strumenti musicali più utilizzati ricordiamo violini, flauti e pailas.
Con il tempo, però, il danzon subì un’evoluzione scandita dalla nascita del cosiddetto “danzonete“: i movimenti rigidi lasciarono spazio ad altri più morbidi e sinuosi in cui la flessione delle gambe favorí una sensualità adattata alle note di una musica definita da un ritmo più incalzante.

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Nel 1950 il danzonete subì un rinnovamento stilistico e musicale generando il “guaracha“. Questo nuovo genere si originò nei bordelli dell’Habana espandendosi fino a Puerto Rico dove fu assorbito dalla tradizione musicale locale. Il guaracha, frutto del danzonete, iniziò a diffondersi a macchia d’olio con una caratteristica esasperazione dei movimenti morbidi del corpo unitamente ad una sempre più evidente flessione delle gambe.

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Figlio del guaracha è il son, un genere musicale costituto da un ritmo continuo che non vede più la coppia ballare in uno spazio definito. Il son è considerato uno dei primi balli di coppia moderni. Nacque a Santiago de Cuba dalla fusione di stili europei (danzon) e danze campestri di fine ‘800. I suoi strumenti erano il tres, bongo, guiro e successivamente la marimbula. Questo nuovo ritmo influenzò talmente profondamente la cultura cubana al punto da contaminare ciò che in seguito verrà definito come mambo, come salsa e come timba (genere musicale più recente che subisce le influenze del jazz, rock’n’roll, disco, funk, hip Hop .

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Nel 1800 la cultura spagnola penetró talmente a fondo le tradizioni cubane che a Santiago de Cuba giunse qualcosa di nuovo: il boleros, prodotto del son e dell’habanera (danza di origini spagnole reinventata a Cuba con un ritmo lento e simile al tango). Il bolero arrivó, quindi, dalla Spagna quasi privo di strumenti a percussione che furono ben introdotti dai musicisti cubani partorendo così un mix di suoni generati da chitarre, battiti di mani (palmeo), claves, maracas e bonghi e raggiungendo il picco della popolarità tra gli anni ’30 e ’60.

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*i contenuti di questo articolo hanno carattere divulgativo ed informativo.
** i contenuti di questo articolo trovano ispirazione dall’esperienza didattica e professionale dell’autore unitamente ad una selezionata ricerca sitografica e bibliografica.

Del M° Nicola Gelsomino

2a Parte – Regla De Ocha o Santeria – Afro- Cubana | Orishas ( Changò – Yemaja – Babalù ayè )

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CHANGÓ
Changó è uno degli Orichas più importanti e venerati nella mitologia Yoruba ed i suoi poteri sono associati al fuoco, ai fulmini e ai tuoni di cui è considerato il Signore.È una divinità poliedrica che presenta caratteristiche proprie dei saccheggiatori e dei cacciatori, è tuttavia garante di giustizia (l’ascia bipenne, detta Oxê, che porta con se ne è il simbolo) ed è capace di scatenare forti ire con gravi punizioni per bugiardi e malfattori. È considerato anche il re dei tamburi, a lui appartengono i tamburi Batà. In qualità di Signore del fuoco è rispettato come protettore degli incendi e delle ustioni. È dipinto come un incomparabile donnaiolo, nutre una forte passione per il sesso femminile e per questo motivo vanta di innumerevoli amanti oltre alle mogli ufficiali: Oya, Obba Yurú e Ochun.
Si narra  che il suo concepimento avvenne quando Aganju (antica divinità dei vulcani, dei boschi e dei fiumi) si oppose ad Obatalà intento a voler attraversare il fiume. Quest’ultimo, al fine di aggirare il divieto, si trasformò in una bellissima donna a cui Aganju si unì generando Changó.
La sua festa è il 4 dicembre e all’Avana ci sono grandi festeggiamenti in suo onore (soprattutto danze rappresentative accompagnate dal suono di tamburi). Changó nella danza generalmente simula il gesto di prelevare un fulmine dal cielo e di portarlo, con movimenti rapidi e decisi, in prossimità dei suoi genitali come segno di virilità e di forza.
Si sincretizza in Santa Barbara ed i suoi colori sono il rosso e il bianco.

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YEMAJA
Yemaja (contrazione del nome Yey Omo Eja ossia “madre dei pesci”) è riconosciuta divinità delle acque, dei mari, degli oceani, della fertilità e dell’abbondanza (a lei si affidano le donne in gravidanza o coloro che hanno difficoltà a concepire).
Secondo la tradizione afro-caraibica è madre di tutti gli Orichas. Si narra che Yemaja fu rapita e violentata da suo figlio il quale fu colpito a morte da una potente maledizione scagliata contro di lui dalla sua stessa madre. In preda allo sconforto la dea si recò sul punto più alto di un monte nel tentativo di togliersi la vita. In quel preciso istante si ruppero lo acque (da qui il riferimento al liquido amniotico fonte di vita per gli umani associato da molti al merito affidato all’elemento “acqua” di rappresentare la primordiale fonte di vita) e partorì 14 Orichas (alcune fonti ne dichiarano 15).
Yemaja è una divinità che vanta una doppia rappresentazione. La prima è quella dotata di una personalità materna, compassionevole nei confronti dei sui figli, generosa, protettiva e con un forte senso di equità e giustizia. La seconda è un vero e proprio “mare in tempesta”, scatenata la sua ira mostra una violenta e terrificante collera.
A tutti coloro che sono a lei consacrati è imposto il divieto di pronunciare il suo nome prima di aver toccato terra con le dita e averne baciato la polvere.
È rappresentata come una bellissima donna, indossa una veste azzurra a sette veli (come sette sono i mari) con serpentine bianche (che simboleggiano le acque e la spuma delle onde) che fa ruotare simulando il movimento ondulatorio del mare. La sua danza, infatti, inizia con una risata intensa seguita da movimenti che mimano sempre più velocemente le azioni di nuotare o di remare.
Accessori immancabili sono un ventaglio in oro e madreperla decorato con conchiglie (considerate sacre e dentro cui spesso i devoti scrivevano messaggi che lasciavano sulla riva insieme a della frutta offerta in dono) e una collana di cristalli e pietre azzurre.
Si sincretizza come “Vergine de la Regla” protettrice del porto dell’Avana, delle gestanti e di tutti coloro che hanno problemi derivanti dall’acqua (es. i naufraghi).
Il suo giorno è il sabato ed il suo numero il 7.
I suoi attributi sono le scialuppe, il salvagente, la luna, il sole e l’ancora.
I suoi colori sono il blu è il bianco.

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BABALÚ AYÉ
Babalú Ayé nella Regla de Osha è l’Oricha delle malattie (soprattutto della pelle) e delle epidemie. I suoi messaggeri sono le mosche e le zanzare poiché loro stesse portatrici di malattie. A lui i devoti chiedono la grazia della guarigione, spesso è possibile individuare scie di fedeli vestiti di bianco processare in ginocchio percorrendo la strada verso il suo santuario dispensando denaro ai mendicanti e sperando in un miracolo che estingua la loro malattia o quella dei loro cari. Come strategia perché le famiglie fossero protette da qualunque patologia, i credenti posizionavano sulla porta di ingresso delle abitazioni un amuleto costituito da un sacchetto cucito con della iuta e pieno di erbe e aglio maschio il quale veniva defumato con incenso bianco e chiuso con un nastro viola accanto ad una candela accesa del medesimo colore.
Figlio di Yemaja e Orungan, Babalù Ayé è una divinità (per molti un semidio) associata alla  genesi della Terra (dal nome Oba= re e aiye=terra). Secondo la mitologia Orisha, Olorun (creatore supremo della popolazione Yoruba e padre di Obatalà) fece dono a Babalù Ayé di una potente energia sessuale, motivo per cui egli trascorreva gran parte del suo tempo a consumare coiti con numerose donne. Orolun, però, si dimostrò estremamente contrariato rispetto a questa condotta così lussuriosa per cui inviò sulla Terra un suo messaggero al fine di esortare Babalù Ayé a limitare la sua brama sessuale e a poter godere della sua vigoria tutti i giorni della settimana ad esclusione del venerdì “Santo”. Ciò non avvenne nonostante l’avvertimento divino per cui Babalù Ayé fu condannato a contrarre la sifilide e a morire. Fu poi resuscitato dal Grande Padre grazie all’ intercessione di Oshun (divinità dell’amore) ma tornato in vita la sua condotta risultò recidiva.
È rappresentato come un vecchio mendicante ricoperto di piaghe,ingobbito, vestito di juta con appesa al collo una collana a perle bianche rigate con il nero o con il blu oppure solo nere.
Nella danza si trascina come un malato (spesso interpretando crisi convulsive) e simulando una purificazione con un un suo attribuito (un “Aja” ossia un fascio d’erba) si rialza da terra gioendo dell’avvenuta guarigione.
Ha una personalità benevola, è garante di giustizia ma può risultare molto vendicativo con coloro che non mantengono le promesse fatte o con chi ignora i suoi consigli.
Si sincretizza in San Lazzaro, i suoi giorni sono il mercoledì e il venerdì. La sua festa è celebrata il 17 dicembre ed il suo colore è il viola vescovile.

*i contenuti di questo articolo hanno carattere divulgativo ed informativo.
** i contenuti di questo articolo trovano ispirazione dall’esperienza didattica e professionale dell’autore unitamente ad una selezionata ricerca sitografica e bibliografica.

Del M° Nicola Gelsomino

Origini afro-ispaniche della cultura caraibica * Del Maestro Nicola Gelsomino

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Origini afro-ispaniche della cultura caraibica * 

Lo sbarco di Cristoforo Colombo nel 1492 sulle coste del nuovo continente riempie una delle prime pagine di storia sulle origini, o meglio sulle evoluzioni e contaminazioni, delle danze caraibiche. La popolazione aborigena del nuovo mondo fu quasi subito sterminata sia per la loro istintiva e vana opposizione ai “conquistadores” sia perché esposti a patologie straniere verso cui non avevano sviluppato anticorpi in grado garantire loro la sopravvivenza. Decimandosi la popolazione autoctona i colonizzatori furono costretti ad inserire nuova forza lavoro in territorio americano ed iniziò quindi la cosiddetta “tratta degli schiaviafricani.

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Lo scambio e la contaminazione culturale fu,quindi, prevalentemente a carattere bidimensionale: cultura africana ed ispanica diedero i natali a nuovi filoni politici, religiosi e musicali le cui tradizioni si fusero in maniera piuttosto omogenea. Tale connubio culturale si manifestò soprattutto in ambito religioso con la nascita della Santeria.

orishas La “Santeria” è un termine dispregiativo coniato dai colonizzatori spagnoli al fine di denigrare la religione prettamente animista degli schiavi africani della popolazione Yoruba tassativamente vietata dal regime coloniale (gli schiavi trasgressori erano puniti con la morte). Gli africani, tuttavia, con notevole astuzia riuscirono a professare ugualmente la loro religione sincretizzando i Santi cattolici con le divinità pagane. Ogni Oricha (singola divinità Yoruba) vantava una rappresentazione a carattere distintivo dal colore delle vesti (il più similare possibile a quello dei Santi cattolici) all’elemento naturale o morale che simboleggiavano e/o proteggevano.
La proiezione dell’influenza religiosa nella sfera musicale fu subito evidente, basti pensare alle danze effettuate in onore degli orichas i cui gesti, forti e decisi, simulavano e simboleggiavano singole caratteristiche del “santo”.

To be continued ….

*i contenuti di questo articolo hanno carattere divulgativo ed informativo.
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Del M• Nicola Gelsomino